Con una fotocamera digitale è particolarmente facile constatare la corretta esposizione di un'immagine. La possibilità di visualizzare l'anteprima sul nostro LCD, permette di valutare eventuali errori istantaneamente. Tuttavia, a causa della qualità dell'anteprima, è talvolta difficile valutare se l'immagine è esposta correttamente. La funzione istogramma fornisce una risposta precisa in merito all'esposizione e se necessario usare la compensazione dell'esposizione per rendere più scuro o più chiaro lo scatto successivo. Altra particolarità fornita dall'istogramma riguarda una serie di informazioni a proposisto del contrasto. Questa informazione consente di evitare o di affrontare con estrema attenzione, tutte quelle situazioni che presentano una gamma di luminosità superiore a quella gestibile dal sensore. Con soggetti poco contrastati, l'istogramma standard riporta il grado di luminosità (luminanza) di ogni pixel. La distribuzione di questi gradi è indicata da una scala di 256 livelli (il numero di toni per Canale registrabili in un JPEG). La tonalità più scura registrabile da un sensore, conosciuta come nero puro, è indicata dallo zero ed è posizionata sulla parte sinistra dell'istogramma. Viceversa il bianco puro è rappresentato dal valore 255 sulla destra. Tra questi due valori, percorrendo l'asse delle X, sono indicate tutte le sfumature. Sull'asse delle Y sono indicati i numeri di pixel contraddistinti da quel determinato livello di luminosità. In termini di ripetibilità è bene precisare che non esistono istogrammi ideali e che ogni scatto può essere caratterizzato da colori più o meno luminosi, quindi non esisteranno due istogrammi identici. La migliore gamma tonale è raffigurata con un istogramma a forma di campana. Un istogramma posizionato sul lato sinistro, indica un'immagine sottoesposta. Viceversa, posizionato sul lato destro, una sovraesposta. Nel digital imaging la sovraesposizione è molto difficile da recuperare in fase di postproduzione. Con soggetti molto contrastati è preferibile un'immagine sottoesposta, poiché è più facile recuperare il dettaglio delle aree più scure, usando gli appositi sftware di manipolazione. La lettura degli istogrammi deve però essere eseguita con molta attenzione, poiché questo occupa uno spazio limitato sullo schermo, quindi diventa difficile valutare se tocca davvero gli estremi, poi perchè si basa sulla versione JPEG. Scattando in RAW la fotocamera catturerà molti più dettagli tonali (12 o 14 bit rispetto agli 8 del JPEG), quindi anche le alte luci potrebbero essere recuperate.
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Le attuali fotocamere reflex sono in grado di registrare immagini in due diversi formati, RAW e JPEG.
Il JPEG è il più noto standard di compressione per le immagini fotografiche digitali. I file con questa estensione possono essere gestiti da programmi differenti, senza problemi di compatibilità o conversione e hanno il vantaggio di avere un peso ridotto, occupando poca memoria e potendoli quindi trasmettere tramite web o tramite posta elettronica senza particolari problemi. Tuttavia, più un file digitale è compresso, più la sua qualità si deteriora, evidenziando scalettature e artefatti antiestetici. Sebbene sia possibile selezionare il formato in previsione della grandezza delle foto che vogliamo ottenere, è pur sempre consigliabile la registrazione dei file in formato RAW, molto più pesanti ma in grado di mantenere tutti i dettagli, con l'intento di usarli come negativi, ovvero come immagini da cui potremo ottenere nuovi file, magari in JPEG, per i nostri più svariati usi. Le informazioni racchiuse nei file RAW potranno essere elaborate in post-produzione, ottenendo gli effetti più particolari adatti al nostro scopo. Il maggior peso di questi file comporta il riempimento delle schede di memoria in tempi più veloci, quindi, in riferimento al tipo di foto e alla definizione della fotocamera, dovremo scegliere una scheda di memoria più o meno capiente per soddisfare le nostre esigenze. Le schede di memoria hanno dimensioni, velocità d'immagazzinamento e classi diverse, per ogni tipo di uso che vada dal professionale all'amatoriale e per ogni tipo di tasca in termini di costi. Le principali schede possono essere di tipo SD (più piccole) o CF (più grandi), note anche come Compact Flash e più comuni tra le reflex digitali. Le SD sono attualmente le più diffuse, poiché, grazie alla loro ridotta dimensione, possono essere usate sulle fotocamere entry level che, per ragioni di progettazione e di contenimento dei costi, sono sempre più piccole e più maneggevoli. Le schede SD possono essere: SD, Secure Digital SDHC, High Capacity SDXC, ancora più capienti delle HC. Suogni scheda di memoria SD e CF sono solitamente riportati i dati concernenti la capacità (es. 16 GB), la velocità di trasferimento (es.: CF 60MB/s; SD 133x), le eventuali classi (solo per SD) pensate per offrire velocità di scrittura differente e l'eventuale protocollo UDMA (Ultra Direct Memory Access) solo per CF e in grado di offrire una maggiore velocità di trasferimento. Nella tabella seguente è possibile confrontare le velocità di trasferimento definite per le schede SD con quelle definite per le CF. Velocità a confronto 40x - 6MB/s 66x - 10MB/s 100x - 15MB/s 133x - 20MB/s 200x - 30MB/s 300x - 45MB/s 400x - 60MB/s 600x - 90MB/s La scala ISO ha origine dall'ormai remota fotografia analogica. Esistevano infatti pellicole di diversa sensibilità che erano chiamate rapide in virtù dei tempi di posa più rapidi, impostabili dalla fotocamera. Queste pellicole erano impiegate per soggetti in movimento e soprattutto per condizioni di scarsa luminosità. Inizialmente la sensibilità è stata misurata facendo riferimento alla scala americana ASA per poi passare alla tedesca DIN e giungere infine alla ISO, impiegata tuttoggi anche nel digitale. Alla differenza della pellicola, con il digitale può essere aumentata la sensibilità dei chip di imaging attraverso i circuiti elettronici. Gestire gli ISO nel digitale è come potenziare il volume della radio: amplificando il segnale proveniente dal sensore, permette l'applicazione di tempi di posa più rapidi. Il principale vantaggio offerto dal digitale consiste nella possibilità di poter variare la sensibilità ISO ad ogni scatto, contrariamente a quanto avveniva con la pellicola, che doveva essere consumata e/o sostituita per variarne il valore. Il valore standard impostato sulle attuali fotocamere è solitamente 100 ISO. La scala ISO è costituita da valori numerici che, se raddoppiati, raddoppiano la sensibilità del sensore alla luce. Aumentando la sensibilità da 100 a 200, per ottenere la stessa esposizione complessiva, sarà necessario impostare un tempo dimezzato, due volte più veloce. Raddoppiando il valore degli ISO si aumenta, quindi, l'esposizione di uno stop. A seconda del tipo di reflex e in base al modello più o meno recente, il massimo valore ISO può variare da 3200 a 102400. Tra gli inconvenienti dovuti all'aumento della sensibilità spicca l'abbassamento della qualità d'immagine, che sarà caratterizzata dal cosiddetto rumore. Il rumore si manifesta sottoforma di aumento della grana, di striature o macchie di colore. Questo inconveniente si riduce all'aumentare della grandezza del sensore: con una fotocamera full-frame il rumore è ridotto al minimo, specialmente sulle versioni più recenti, dotate di una scala ISO molto più ampia. La grandezza del sensore consiste in singoli photosite più grandi, in grado di coprire superfici più grandi e di catturare più luce: il segnale così non avrà bisogno di eccessiva amplificazione, garantendo meno rumore. L'applicazione simbolo per l'uso del flash è sicuramente quella legata alla mancanza di luminosità dalla scena, anche se è consigliabile usarlo anche in luce diurna per determinate circostanza e situazioni. Non conoscere a fondo il funzionamento di questo attrezzo comporta sicuramente dei problemi e un sicuro degrado della qualità dell'immagine. La chiave per ottenere buoni risultati è fondamentalmente legata ad una questione di esposizione, che non deve più essere solo vincolata al tempo di esposizione, al diaframma di apertura dell'obbiettivo e ai valori ISO più adatti, ma anche della potenza del flash, per ottenere un lampo più naturale possibile. Il flash fornisce un brevissimo lampo di luce, la cui durata può essere modificata dalla fotocamera o dal fotografo, in riferimento alle esifenze della scena. La quantità di luce necessaria ad illuminare un soggetto dipende dal diaframma usato: più ampia sarà l'apertura e minore la potenza del lampo. Lo stesso ragionamento è applicabile anche ai valori ISO impostati: maggiore sarà la sensibilità impostata sul sensore e minore la potenza del lampo. Il tempo di scatto, invece, non è un fattore particolarmente significativo. Nonostante tutto, però, il modo in cui l'otturatore influisce sul piano focale non consente di disporre dell'intera gamma di tempi previsti dalla fotocamera. Con il flash impostato in modalità normale è necessario assicurarsi che il tempo di sincronizzazione specifico della fotocamera non sia superato dal tempo impostato all'occorenza. Questo vuol dire che con un tempo di sincronizzazione pari a 1/200 di secondo, il tempo di scatto impostato non dovrà essere più veloce (1/250, 1/300, ecc.), poiché questo comporterebbe l'oscuramento di parte dell'immagine a causa della tendina in chiusura sull'otturatore. La maggior parte dei fattori da considerare nel calcolo dell'esposizione del flash sono gestiti in autonomia dalla fotocamera. L'impiego di un flash integrato sulla fotocamera o di un flash a slitta dedicato comporterà un adeguato tempo di sincronizzazione impostato dalla fotocamera per tutto il tempo di utilizzo. Ovviamente il concetto non sarà valido qualora fosse impostata la modalità di esposizione manuale (M). Un flash integrato sulla fotocamera comporta un'ulteriore complicazione: la sua portata, essendo alquanto limitata, non permetterà di usufruire del suo effetto, qualora il soggetto non fosse posizionato nel raggio di pochi metri dal flash. I nuovi sistemiE-TTL (Evaluative Through The Lens) regolano l'intensità del lampo in uscita con una breve emissione di luce poco prima dello scatto, che consente di misurare la luce riflessa dal soggetto. Ciò garantisce un'esposizione più equilibrata e riduce al minimo gli errori nella gestione del flash, causati da soggetti con tonalità troppo chiare e/o troppo scure. Tuttavia un flash in modalità automatica non sempre restituisce i risultati desiderati. Per le situazioni in studio è consigliabile l'impostazione in manuale, con un tempo di posa definito sul tempo di sincronizzazione, un'apertura efficace a raggiungere la profondità di campo desiderata e una regolazione manuale della potenza del flash, tale da ottenere l'illuminazione desiderata. La potenza del flash può essere regolata attraverso la compensazione dell'esposizione flash, che in alcune fotocamere è presente all'interne dei menù nelle Funzioni Personalizzate. La figura precedente mostra le modalità di impostazione dei flash in termini di sincronizzazione ad alta velocità, sulla prima tendina e sulla seconda tendina. Con la sincronizzazione ad alta velocità è possibile usare diaframmi più aperti per ottenere effetti particolari, come ad esempio la sfocatura dello sfondo per i ritratti all'aperto. La sincronizzazione sulla prima tendina è solitamente quella impostata per tutte le modalità automatiche, che può creare difficoltà con i soggetti in movimento, quando la velocità dell'otturatore è più lenta: in queste circostanze, una serie di strisce luminose, create dalla luce ambiente, apparirà davanti al soggetto, risultando di anticipo rispetto al movimento del soggetto. La sincronizzazione sulla seconda tendina permetterà di evitare questo inconveniente, risultando successive al movimento del soggetto. Il passaggio tra ciò che vediamo e la realizzazione di un'immagine digitale può sembrare particolarmente semplice per via dell'immediatezza con cui possiamo visualizzarla sul nostro display. Tuttavia, per quanto veloce, il passaggio è assai complicato. L'immagine creata sul nostro sensore è inizialmente analogica e sarà convertita in formato digitale solo dopo aver lasciato il sensore. Il sensore, quindi è un componente analogico che crea un segnale analogo, modificabile attraverso una serie di circuiti elettronici prima dell'inizio del processo di digitalizzazione. Il sensore è costituito da milioni di unità sensibili alla luce chiamati photosite (pixel) le cui dimensioni possono raggiungere valori inferiori a 0,004 mm e ognuno di essi è in grado di emettere un segnale elettrico proporzionale alla luminosità della parte d'immagine che lo ricopre. Presi singolarmente non sono in grado di riconoscere e riprodurre il colore, ma solo la luminosità. Per generare un'immagine a colori ogni photosite dispone di una microlente e di un micro-filtro colorato dedicato (o rosso o verde o blu). Questi filtri sono disposti all'interno di un mosaico chiamato Bayer pattern (dal nome del suo inventore Bryce Bayer). Incrementando il numero dei filtri verdi, blu o rossi è possibile ottenere un'immagine più nitida. Un photosite con filtro verde sarà raggiunto solo da colori con una frequenza corrispondente al colore verde. Dal momento che quasi tutti i colori possono essere realizzati miscelando le luci rossa, verde e blu (canali RGB), questo metodo è in grado di fornire tutte le informazioni inerenti il colore. Il lavore di squadra dei photosite assegna un determinato colore all'immagine finale. Una volta elaborate le informazioni, un photosite con filtro verde può vedere efficacemente anche una luce rossa confrontando i dati con quelli di un photosite adiacente. Questo processo di interpolazione, conosciuto con il termine di demosaicizzazione, permette un'approssimazione utile ad attribuire un colore a ciascun pixel che compone l'immagine. Per ogni photosite, nelle immagini compresse Jpeg, è possibile registrare fino a 256 sfumature di luminosità differenti, le quali, dopo l'elaborazione, danno vita a un'immagine costituita da 16,7 milioni di possibili campioni di colore. Nelle immagini RAW le informazioni sono ancora più dettagliate e il processo di demosaicizzazione può essere rifatto e pilotato in fase di postproduzione. Riassumendo, il processo di elaborazione digitale è costituito dalle seguenti fasi: 1) La luce ambiente si riflette sul soggetto e passa attraverso l'obbiettivo. 2) La luce raggiunge un filtro a mosaico e il sensore adiacente. 3) Il sensore restituisce un segnale elettrico analogico passandolo ad un convertitore analogico/digitale. 4) L'immagine subisce l'elaborazione digitale e viene trasmessa alla memoria temporanea (buffer). 5) Dal buffer l'immagine passa alla scheda di memoria da cui può essere scaricata per le elaborazioni di post produzione. La capacità di elaborazione per gestire la grande quantità di dati prodotti dal sensore varia in riferimento al numero di pixel.
La velocità di elaborazione è più vincolante con i soggetti in movimento, pertanto la memoria temporanea (buffer) dovrà essere particolarmente capiente. La capacità di elaborazione influenzerà il numero di fotogrammi che si possono scattare in un secondo e i secondi che devono trascorrere prima che il processore riesca a gestire altri dati. Considerato il fatto che gli argomenti trattati in questa lezione potrebbero non essere particolarmente interessanti per scattare una buona fotografia, è comunque necessario sottolineare che conoscere questi aspetti permette di individuare molto più facilmente quando una fotocamera è particolarmente efficace nella realizzazione di fotografie di qualità: il numero dei pixel, la profondità del pixel (bit) saranno riferimenti più che necessari per garantire nitidezza e una maggiore quantità di sfumeture per ogni colore. Il concetto di "bilanciamento del bianco" era praticamente sconosciuto fino al sopravvento della fotografia digitale. Questa funzione è necessaria poiché la luce, oltre a variare in termini di luminosità, varia anche in termini di colore. Ogni sorgente luminosa possiede un proprio colore (detto temperatura colore) variabile in uno spettro che va dal rosso al blu e misurabile all'interno della scala Kelvin (K). Il sistema visivo è abituato a compensare queste variazioni facendoci apparire bianco un foglio di carta bianco, anche sotto diverse fonti di luce. Questa compensazione non sarebbe possibile con una fotocamera, capace di calcolare ogni singolo punto dell'immagine affidandogli un colore frutto di un calcolo, se non esistesse la funzione di bilanciamento del bianco (WB, white balance), in grado di adattare la temperatura colore della luce di ogni scena. Ogni fotocamera è dotata anche di un sistema automatico di bilanciamento del bianco (AWB), valido per la maggior parte delle situazioni. Tuttavia, questo sistema non è infallibile, poiché può operare solo all'interno di una gamma predefinita di temperatura colore che va dai 3000 ai 7000 K. In situazioni particolari come l'illuminazione notturna (ricca di una dominante arancione) e/o le prime ore dell'alba (ricca di una dominante blu), è possibile avere valori inferiori a 3000 K nella prima situazione e superiori a 7000 K nella seconda. In queste situazioni è possibile gestire il bilanciamento del bianco attraverso funzioni manuali in grado di gestire le fonti luminose presenti sulla scena, restituendo colori coerenti con quelli rilevati dal nostro sistema visivo. |
AutoreCiao a tutti, Archives
March 2014
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