Il passaggio tra ciò che vediamo e la realizzazione di un'immagine digitale può sembrare particolarmente semplice per via dell'immediatezza con cui possiamo visualizzarla sul nostro display. Tuttavia, per quanto veloce, il passaggio è assai complicato. L'immagine creata sul nostro sensore è inizialmente analogica e sarà convertita in formato digitale solo dopo aver lasciato il sensore. Il sensore, quindi è un componente analogico che crea un segnale analogo, modificabile attraverso una serie di circuiti elettronici prima dell'inizio del processo di digitalizzazione. Il sensore è costituito da milioni di unità sensibili alla luce chiamati photosite (pixel) le cui dimensioni possono raggiungere valori inferiori a 0,004 mm e ognuno di essi è in grado di emettere un segnale elettrico proporzionale alla luminosità della parte d'immagine che lo ricopre. Presi singolarmente non sono in grado di riconoscere e riprodurre il colore, ma solo la luminosità. Per generare un'immagine a colori ogni photosite dispone di una microlente e di un micro-filtro colorato dedicato (o rosso o verde o blu). Questi filtri sono disposti all'interno di un mosaico chiamato Bayer pattern (dal nome del suo inventore Bryce Bayer). Incrementando il numero dei filtri verdi, blu o rossi è possibile ottenere un'immagine più nitida. Un photosite con filtro verde sarà raggiunto solo da colori con una frequenza corrispondente al colore verde. Dal momento che quasi tutti i colori possono essere realizzati miscelando le luci rossa, verde e blu (canali RGB), questo metodo è in grado di fornire tutte le informazioni inerenti il colore. Il lavore di squadra dei photosite assegna un determinato colore all'immagine finale. Una volta elaborate le informazioni, un photosite con filtro verde può vedere efficacemente anche una luce rossa confrontando i dati con quelli di un photosite adiacente. Questo processo di interpolazione, conosciuto con il termine di demosaicizzazione, permette un'approssimazione utile ad attribuire un colore a ciascun pixel che compone l'immagine. Per ogni photosite, nelle immagini compresse Jpeg, è possibile registrare fino a 256 sfumature di luminosità differenti, le quali, dopo l'elaborazione, danno vita a un'immagine costituita da 16,7 milioni di possibili campioni di colore. Nelle immagini RAW le informazioni sono ancora più dettagliate e il processo di demosaicizzazione può essere rifatto e pilotato in fase di postproduzione. Riassumendo, il processo di elaborazione digitale è costituito dalle seguenti fasi: 1) La luce ambiente si riflette sul soggetto e passa attraverso l'obbiettivo. 2) La luce raggiunge un filtro a mosaico e il sensore adiacente. 3) Il sensore restituisce un segnale elettrico analogico passandolo ad un convertitore analogico/digitale. 4) L'immagine subisce l'elaborazione digitale e viene trasmessa alla memoria temporanea (buffer). 5) Dal buffer l'immagine passa alla scheda di memoria da cui può essere scaricata per le elaborazioni di post produzione. La capacità di elaborazione per gestire la grande quantità di dati prodotti dal sensore varia in riferimento al numero di pixel.
La velocità di elaborazione è più vincolante con i soggetti in movimento, pertanto la memoria temporanea (buffer) dovrà essere particolarmente capiente. La capacità di elaborazione influenzerà il numero di fotogrammi che si possono scattare in un secondo e i secondi che devono trascorrere prima che il processore riesca a gestire altri dati. Considerato il fatto che gli argomenti trattati in questa lezione potrebbero non essere particolarmente interessanti per scattare una buona fotografia, è comunque necessario sottolineare che conoscere questi aspetti permette di individuare molto più facilmente quando una fotocamera è particolarmente efficace nella realizzazione di fotografie di qualità: il numero dei pixel, la profondità del pixel (bit) saranno riferimenti più che necessari per garantire nitidezza e una maggiore quantità di sfumeture per ogni colore.
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Il concetto di "bilanciamento del bianco" era praticamente sconosciuto fino al sopravvento della fotografia digitale. Questa funzione è necessaria poiché la luce, oltre a variare in termini di luminosità, varia anche in termini di colore. Ogni sorgente luminosa possiede un proprio colore (detto temperatura colore) variabile in uno spettro che va dal rosso al blu e misurabile all'interno della scala Kelvin (K). Il sistema visivo è abituato a compensare queste variazioni facendoci apparire bianco un foglio di carta bianco, anche sotto diverse fonti di luce. Questa compensazione non sarebbe possibile con una fotocamera, capace di calcolare ogni singolo punto dell'immagine affidandogli un colore frutto di un calcolo, se non esistesse la funzione di bilanciamento del bianco (WB, white balance), in grado di adattare la temperatura colore della luce di ogni scena. Ogni fotocamera è dotata anche di un sistema automatico di bilanciamento del bianco (AWB), valido per la maggior parte delle situazioni. Tuttavia, questo sistema non è infallibile, poiché può operare solo all'interno di una gamma predefinita di temperatura colore che va dai 3000 ai 7000 K. In situazioni particolari come l'illuminazione notturna (ricca di una dominante arancione) e/o le prime ore dell'alba (ricca di una dominante blu), è possibile avere valori inferiori a 3000 K nella prima situazione e superiori a 7000 K nella seconda. In queste situazioni è possibile gestire il bilanciamento del bianco attraverso funzioni manuali in grado di gestire le fonti luminose presenti sulla scena, restituendo colori coerenti con quelli rilevati dal nostro sistema visivo. La rilevazione della luminosità è fondamentale per ottenere la giusta esposizione. I tempi di posa, i diaframmi e tutte le modalità espositive si basano esclusivamente sulla lettura della luce da parte della fotocamera. Per fare questo, la fotocamera è dotata di un esposimetro integrato in grado di rilevare la luminosità all'interno della scena che vogliamo immortalare. Poiché la luminosità varia da un punto all'altro è necessario che il sistema di lettura sia in grado di effettuare una media. Tuttavia, effettuare una media può essere molto complicato, poiché questa dipende dalla composizione, ovvero da ciò che ci interessa mettere in evidenza. A questo problema la nostra fotocamera può sopperire con l'ausilio di diversi sistemi di misurazione della luce, che potrete trovare indicati nel vostro libretto d'istruzioni. Ogni modalità di misurazione esposimetrica presuppone una distribuzione omogenea della luminosità sull'area inquadrata e valuta l'illuminazione basandosi sullo standard di grigio ideale, in grado di riflettere il 18% della luce effettiva. Tra le modalità di misurazione abbiamo: 1) Misurazione Spot 2) Misurazione Parziale 3) Misurazione Media pesata al centro 4) Misurazione Valutativa La modalità Spot misura l'intensità della luce solo su una piccola porzione di immagine posta al centro del mirino. La media è calcolata valutando solo il 2-4% dell'area inquadrata. La modalità Parziale misura l'intensità della luce su un'area più grande comprendendo circa l'8-13% dell'area inquadrata. La modalità Media pesata al centro rileva la luce sull'intera area inquadrata, considerando predominante la zona centrale; non considera la messa a fuoco ed esegue una media standard su tutta la scenza inquadrata. La modalità Valutativa misura la luminosità sull'intera inquadratura, privilegiando la lettura dell'esposizione intorno all'area su cui è puntato il sistema AF. La modalità Valutativa è di gran lunga la più sofisticata ed è in grado di rilevare la scena analizzando il tipo di immagine composta, incrociando questo dato con la luminosità media suggerita, creando la giusta combinazione tempo/diaframma.
Entrando nel particolare della spiegazione, il sistema suddivide la scena in zone, rileva una serie di letture che saranno poi elaborate, utilizza le informazioni provenienti dall'Autofocus per capire la posizione del soggetto. Con l'impiego della messa a fuoco manuale, la lettura sarà influenzata dalla misurazione eseguita al centro dell'inquadratura. La differenza principale tra la modalità Valutativa e la Media pesata al centro consiste proprio nell'elaborare l'informazione proveniente dall'AF, che nella Media pesata al centro è considerata al centro a priori. Le misurazioni Parziale e Spot hanno un approccio molto più semplice ed eseguono la lettura solo su una piccola area posta al centro dell'inquadratura, ignorando il resto dell'immagine. La modalità parziale è circa tre volte più grande rispetto a quella offerta dall'opzione Spot. La Spot, quindi, è la più precisa ma anche la più difficile da usare, poiché impone di scegliere con cura il punto in cui l'esposimetro effettuerà la lettura. Entrambi funzionano meglio con il blocco AE e danno il massimo quando si riprendono soggetti in cui lo sfondo è significativamente più scuro o più luminoso del soggetto. Nonostante questa varietà delle modalità di lettura dell'esposizione è possibile incappare in letture che necessitano di correzione.I sistemi misurano la luce riflessa dal soggetto, anziché la luce incidente, pertanto è facilmente distorta dal colore e dall'assorbimento luminoso del suo materiale. Soggetti luminosi o bianchi riflettono più luce di quelli scuri. Il sistema di compensazione presuppone che la media della zona o delle zone sia calcolata in base alla luminosità di un tono medio (grigio 18%). L'uso della funzione Compensazione dell'esposizione è indispensabile nel caso di soggetti particolarmente chiari o scuri. Anche per la conclusione di questa lezione vi invito a mettervi in contatto con me per qualsiasi tipo di richiesta e/o approfondimento. Colgo l'occasione, in vista del S. Natale, per augurare a tutti voi BUONE FESTE Silvio Cuccu: indirizzo e-mail [email protected] La buona riuscita delle nostre fotografie è prevalentemente centrata sulla capacità della nostra fotocamera di mettere a fuoco il soggetto. Tutti noi abbiamo potuto notare nella nostra piccola o lunga esperienza quanto sia lacerante scoprire nel risultato finale che il nostro soggetto è fuori fuoco. I sistemi AutoFocus (AF) in dotazione sulle fotocamere digitali odierne, aiutano notevolmente al raggiungimento del risultato, tuttavia è necessario conoscerne il funzionamento per evitare di incappare nei comuni errori che riguardano questo aspetto. Innanzitutto, è bene sapere che ogni obbiettivo ha un campo di messa a fuoco che può andare da una distanza minima ad infinito: la distanza minima di messa a fuoco è garantita dalla qualità delle lenti montate e dal genere di obbiettivo che stiamo usando. Un obbiettivo della categoria macro avrà una distanza minima di messa a fuoco molto più piccola di un teleobbiettivo, poiché specifico per mettere a fuoco soggetti molto vicini. Il sistema AF è in grado di esaminare ciò che inquadriamo e, attraverso un motore, di regolare l'obbiettivo. Il fuoco sarà stabilito in considerazione del fatto che un'immagine nitida presenta un contrasto maggiore rispetto ad una fuori fuoco. Gli obbiettivi, quindi, non misurano la distanza tra la fotocamera e il soggetto, ma, attraverso coppie di sensori per ogni punto AF indicato nel mirino, misurano il contrasto dell'immagine nei punti chiave dell'inquadratura. Nel dettaglio il funzionamento è il seguente: l'immagine vista attraverso il mirino è proiettata dall'obbiettivo sullo schermo di messa a fuoco; lo schermo di messa a fuoco consente di identificare quali sono le parti a fuoco dell'immagine e quali no, fornendo una guida approssimativa di quanta profondità di campo possiamo ottenere con la massima apertura; le attuali reflex digitali offrono una varietà di possibilità in merito al numero di punti di messa a fuoco, da una minimo di pochi punti fino a molte decine, entro il quale il sistema AF è in grado di valutare la distanza dal soggetto; il punto più sensibile tra tutti quelli proposti è il punto centrale, consigliabile sia per scatti con poca luce, che quando una messa a fuoco precisa diventa problematica; un segnale specifico, in genere un led all'interno del mirino, indica l'avvenuta corretta messa a fuoco; premendo il pulsante di scatto i punti AF in uso lampeggiano, indicando in quale punto dell'immagine avverrà la messa a fuoco. Esistono generalmente tre modalità di messa a fuoco: una specifica per soggetti statici (non in movimento), una specifica per soggetti sia in movimento che fermi e una specifica per soggetti costantemente in movimento. Nei casi di soggetti statici il sistema provvederà a mettere a fuoco semplicemente il soggetto nel punto selezionato, senza riuscire a mantenerlo agganciato in caso di movimento improvviso; nei casi di messa a fuoco su soggetti sia fermi che in movimento, il sistema è invece capace di mantenerli agganciati; nei casi di soggetto in movimento l'AF tiene agganciato il soggetto e continua a ricalcolare la messa a fuoco. Ovviamente questa condizione è valida per tutte le situazioni in cui lavoriamo per automatismi. Qualora ci fosse la necessità di operare una messa a fuoco fine, come per la fotografia macro, è possibile disinserire tutti gli automatismi operando esclusivamente con la messa a fuoco manuale. Sistemi più recenti di messa a fuoco sono garantiti attraverso l'impiego del LIVE VIEW, con cui è possibile visualizzare l'inquadratura sullo schermo LCD e operare da li la messa a fuoco manuale. Dopo questa lezione, che spero vi sia piaciuta, spero di poter contare sulle vostre visite per le lezioni che seguiranno. Vi invito a mettervi in contatto con me all'indirizzo oootah@alice.it per qualsiasi vostra esigenza e necessità di approfondimento. Silvio Cuccu Con la definizione "Lunghezza focale" ci si riferisce al tipo di ottica che intendiamo adottare sulla nostra reflex. Come già anticipato nella precedente lezione, il valore di lunghezza focale indicato rappresenta la distanza in mm tra il sensore e il centro ottico del nostro obbiettivo: più questo valore sarà alto e più avremo a che fare con ottiche tele, più sarà basso e più ci avvicineremo alle ottiche grandangolo. Oltre a questa distinzione possiamo aggiungere che maggiore sarà la sua estensione e minore sarà l'ampiezza del punto di vista. La visuale reale, così come la concepisce l'occhio umano, corrisponde all'incirca ad un campo che va dai 35 mm a 50 mm. Gli obbiettivi con lunghezza focale inferiore a 35 mm sono chiamati grandangoli e permettono di ampliare la visuale. Gli obbiettivi con lunghezza focale superiore a 70 mm sono chiamati teleobbiettivi e hanno la caratteristica di avvicinare porzioni della scena visibili dall'occhio, quindi permettono di concentrare l'attenzione sui particolari che, normalmente si perderebbero all'interno di una scena più vasta. Basta pensare all'espressione di un viso che, all'interno di una foto di gruppo, perderebbe la sua importanza, poiché la visione d'insieme interesserebbe maggiormente il risultato. Un espressione particolare all'interno di una scena potrebbe essere colta e isolata grazie all'uso di queste ottiche. Viceversa, una scena panoramica dovrà cogliere quanto più orizzonte possibile, quindi un'ottica grandangolare sarà la scelta migliore per aumentare l'ampiezza del punto di vista. Per contestualizzare un soggetto all'interno di una scena è consigliabile l'uso di un grandangolo, per coglierne i suoi dettagli quello di un teleobbiettivo. Con la lunghezza focale ci si riferisce al cosiddetto angolo di campo, cioè quella porzione visibile attraverso il mirino, caratteristico per l'ottica montata sulla nostra macchina fotografica.
L'angolo di campo può essere influenzato in modo direttamente proporzionale anche dalla grandezza del sensore: più piccolo sarà il sensore e più piccolo sarà l'angolo di campo. In riferimento al tipo di fotocamera usata la grandezza dei sensori è variabile in proporzione al cosiddetto fattore moltiplicativo. Con un accenno alla vecchia fotografia analogica, la grandezza del negativo corrispondeva a 24x36 mm. Questa grandezza è stata presa come riferimento nella fotografia digitale: i sensori caratterizzati da queste dimensioni sono tipici delle fotocamere full-frame, mentre le fotocamere con sensore più piccolo avranno dimensioni ridotte proprio in riferimento al cosiddetto fattore moltiplicativo. Una fotocamera con fattore moltiplicativo 1,5 avrà un sensore con dimensioni 16x24 (16x1,5=24; 24x1,5=36). Vi aspetto numerosi alla prossima lezione. Silvio Cuccu, indirizzo E-mail: [email protected] Anche per il tempo di posa può essere l'artefice di effetti particolari per le nostre immagini. Con esso possiamo controllare il movimento sia della fotocamera che del soggetto. La velocità dell'otturatore indica la porzione di tempo in cui le tendine di fronte al sensore della fotocamera restano aperte. La scala usata è costituita da frazioni di secondo o, come nel caso della fotografia notturna, da più secondi, secondo i parametri tipici della nostra fotocamera e dell'obbiettivo in essa montato. Quando si scatta a mano libera, è necessario stabilire tempi di scatto sufficienti a scongiurare l'effetto del micromosso, causato da vibrazioni della fotocamera. La regola base è usare un tempo di scatto che sia l'inverso della lunghezza focale dell'obbiettivo usata per il nostro scatto. Per esempio: se stiamo scattando con una focale da 70 mm il tempo più lento che dovremo usare sarà 1/70 di secondo o addirittura 1/80 per un risultato più sicuro. Questa regola è fondamentale quando si usano teleobbiettivi di un certo peso, per cui è più facile incappare in questi inconvenienti, proprio a causa della mole di questi oggetti. Il tempo di posa è fondamentale per stabilire il tipo di immagine che vogliamo ottenere. E' particolarmente consigliato per tutte le immagini in cui si vuole immortalare un'azione, congelandone il movimento per esaltarne il gesto, o evidenziandolo per esaltare l'azione. In riferimento al tipo di fotocamera che usiamo, è possibile avere scale di tempi che si misurano in frazioni di stop interi, 1/2 di stop e/o 1/3 di stop.
Stop interi: 1/4000, 1/2000, 1/1000, 1/500, 1/250, 1/125, 1/60, 1/30, 1/15. 1/2 di stop: 1/4000, 1/3000, 1/2000, 1/1500, 1/1000, 1/750, 1/500, 1/350, 1/250, 1/180, 1/125, 1/90, 1/60, 1/45, 1/30, 1/20, 1/15. 1/3 di stop: 1/4000, 1/3200, 1/2500, 1/2000, 1/1500, 1/1250, 1/1000, 1/800, 1/640, 1/500, 1/400, 1/320, 1/250, 1/200, 1/180, 1/125, 1/100, 1/80, 1/60, 1/50, 1/40, 1/30, 1/25, 1/20, 1/15. Come per le altre lezioni fin qui trattate, vi invito a mettervi in contatto con me al seguente indirizzo, per approfondimenti e/o curiosità: Silvio Cuccu, indirizzo E-mail [email protected]. Nella lezione precedente abbiamo visto che è possibile regolare l'esposizione intervenendo sul diaframma o sul tempo di posa. Ma quale dei due sistemi è più appropriato? Una risposta vera e propria non esiste, poiché dipende esclusivamente da cosa fotografiamo. Nel momento in cui vogliamo immortalare azioni di movimento è consigliabile avere il massimo controllo sul tempo di posa, poiché, con questo, potremmo cogliere l'effetto del movimento o bloccare la scena, rispettivamente con tempi lunghi e poi con quelli corti. Per immortalare immagini statiche, invece, è consigliabile agire sul diaframma, poiché così è possibile concentrare l'attenzione sul soggetto, isolandolo, come nel caso di un primo piano, o contestualizzandolo all'interno di una scena. Per isolare il soggetto è sufficiente aprire completamente il diaframma. Per contestualizzare il soggetto all'interno della scena, viceversa, è sufficiente chiuderlo. Oltre ad aiutare il controllo dell'esposizione, la scelta del diaframma influenza la profondità di campo, che è l'estensione della messa a fuoco nella porzione di campo che si estende da prima del soggetto a dopo il soggetto. Una profondità di campo ridotta è l'effetto che si ottiene aprendo completamente il diaframma, mentre una lunga si ottiene con la sua chiusura. Una scala tipica di impostazione del diaframma si misura in f/stop e può essere suddivisa nel seguente modo: f/2.8, F/3.5, f/4, f /5.6, f/8, f/11, f/16, f/22. Questo valore dipende dal tipo di obbiettivo montato che, a seconda della luminosità, può essere dotato di queste aperture o comunque garantire un valore minimo di f/4 o f/5.6. Il valore di apertura così impostato indica una frazione, che pertanto sarà più piccolo quanto più elevato sarà il valore di f/stop. Esistono tre modi per influenzare la profondità di campo: si può agire sul diaframma, sulla distanza dal soggetto e sulla lunghezza focale dell'obbiettivo.
La lunghezza focale dell'obbiettivo è la distanza che esiste tra la lente esterna e il sensore. Dato per assodato quanto già detto per il diaframma, la distanza dal soggetto permette di ridurre notevolmente la profondità di campo ponendo il soggetto vicinissimo alla fotocamera (1 m). Più aumenterà la distanza e maggiore sarà la profondità di campo. Agendo sulla lunghezza focale si avrà una profondità di campo maggiore quanto più piccola sarà questa grandezza: basta sapere che con un soggetto a 10 m e una lunghezza focale di 24 mm è possibile coprire una profondità di campo di circa 20 m. Con una lunghezza focale elevata (teleobbiettivo) è possibile ridurre notevolmente la profondità. Grazie per la vostra attenzione e arrivederci alla prossima lezione. Per domande e/o curiosità: Silvio Cuccu e-mail [email protected] Come abbiamo detto nel corso della prima lezione, premendo il pulsante di scatto, solleviamo lo specchio che riflette l'immagine nel mirino e permettiamo alla luce di arrivare direttamente al sensore. Per dosare la giusta quantità di luce è necessario saper gestire la durata dell'esposizione. Questa è influenzata da due fattori fondamentali: l'apertura del diaframma e il tempo di posa. Ma cosa intendiamo con apertura del diaframma e tempo di posa? Semplice, basta prendere in mano il libretto delle istruzioni della vostra fotocamera e risalire a come impostare i comendi per l'una e per l'altro. Il nostro obiettivo, montato sulla nostra fotocamera, è dotato di lamelle interne (diaframma) che possono essere regolate per far entrare più o meno luce e determinare un tempo più o meno lungo di esposizione per il nostro sensore, che, una volta impressionato, restituirà un'immagine più o meno corretta. Allo stesso modo, se volessimo intervenire direttamente sul tempo di posa, potremmo impostare un tempo più o meno alto per avere lo stesso risultato. I due fattori sono inversamente proporzionali tra loro, poiché aumentando la quantità di luce in entrata (apertura del diaframma), diminuirà il tempo di posa, viceversa, diminuendola (chiusura diaframma), il tempo aumenterà. Lo stesso concetto vale per il tempo di posa: aumentando il tempo, più luce giungerà al sensore, diminuendolo, il contrario. Entrambi i fattori operano per definire l'esposizione. Potremmo impostare un'apertura ampia del diaframma come f4, oppure una stretta come f16; scegliere un tempo lungo come 1/8 di secondo o molto breve come 1/1000. Un'altra variabile in grado di influenzare l'esposizione è il valore ISO impostato: più è basso e maggiore sarà la quantità di luce necessaria per registrare l'immagine, più è alto e più sarà minore. Tuttavia valori alti di ISO comportano una perdita di qualità per l'immagine finale. Riassumendo, possiamo scegliere di impostare la nostra fotocamere in modo creativo, abbandonando ogni forma di automatismo e diventando gli assoluti padroni delle nostre scelte. Potremo lavorare in priorità di diaframma e/o in priorità di tempi, a seconda della scelta che intendiamo operare. Ma come potremo rendere perfetta la nostra esposizione? Se la quantità di luce che raggiunge il sensore sarà troppa, avremo immagini sovraesposte, se sarà poca, avremo immagini sottoesposte. L'immagine restituita dal nostro display ci permetterà di decidere, attraverso il risultato, quale sarà la soluzione più corretta. Impostando la compensazione dell'esposizione e gestendola in una forbice di massimo due stop di sotto e sovraesposizione potremo addirittura ottenere foto sottoesposte, foto normali, foto sovraesposte e stabilire quale dei tre è più valido per le nostre necessità. Con l'avvento della fotografia digitale la maggior parte delle persone, davanti ad una foto fantastica, è convinta che il fotoritocco faccia la differenza e che un'attrezzatura costosissima sia un ulteriore motivo a supporto del risultato. In piccola parte sono vere entrambe le cose, ma la differenza principale consiste nel saper usare la strumentazione e nel conoscere le caratteristiche della luce, per come agisce sui sensori delle macchine fotografiche e per come può essere "incanalata" all'interno di un obbiettivo. Tutti questi concetti di base sono validi per tutte le macchine fotografiche in commercio, anche se è necessario fare una netta distinzione tra macchine fotografiche compatte e sistema reflex, con cui è possibile entrare nel mondo della fotografia creativa. Infatti, se con una macchina compatta è possibile fare degli ottimi esercizi di composizione, non è altrettanto possibile (perlomeno nella maggior parte dei casi) intervenire sulla quantità di luce in grado di impressionare il sensore. Addentrarsi nei tecnicismi che contraddistinguono le parti elettroniche delle macchine fotografiche e spiegare come funzionano i sensori, sarebbe alquanto insolito per avvicinare il neofita alla fotografia, per cui ci occuperemo solo di spiegare quali sono i principi alla base del funzionamento di una reflex. L'immagine, percepibile attraverso un mirino posto nella parte posteriore della macchina fotografica, è riflessa verso l'occhio tramite un sistema interno di specchi (specchio + pentaprisma).
Poiché l'immagine è dovuta alla luce presente nell'ambiente che, per riflessione, restituisce la percezione dei colori, con la stessa luce è possibile impressionare il sensore posto dietro lo specchio. Premendo il pulsante di scatto, infatti, lo specchio si solleva e si interrompe la visibilità dell'immagine nel mirino, la luce fluisce direttamente al sensore, per la frazione di tempo impostata, che calcola istantaneamente l'immagine sul sensore (digitale deriva dall'inglese "digit", calcolo). Questo principio è valido per tutte le macchine con sistema reflex, siano esse di medio formato che di formato professionale. Rispetto alle vecchie analogiche, le reflex digitali sono contraddistinte dalla grandezza del sensore che può variare a seconda del modello di fotocamera scelto. Alcune case costruttrici usano modelli che, rispetto al formato dei negativi analogici (24x36 mm), hanno dimensioni ridotte di 1,5 circa 1,5 volte. Questo valore è conosciuto come "fattore moltiplicativo" e contraddistingue le fotocamere commerciali dalle professionali che, solitamente, hanno fattore moltiplicativo 1 (full frame), anche se esistono modelli sempre più in uso tra i professionisti con dimensioni del sensore ridotte. Potrebbero essere scritte pagine di libri in merito al tipo di attrezzatura e al suo impiego, ma rischieremmmo di entrare troppo nel dettaglio e di perderci nei meandri della tecnologia, allontanandoci da quello che è l'obbiettivo primario di queste pagine: la forografia creativa. Nel corso delle prossime lezioni rimanderemo, comunque, ad alcune nozioni che riguardano l'impostazione delle fotocamere, lasciando aperta ogni discussione riguardante questa nostra prima lezione. Lasciamo aperta questa pagina anche per qualsiasi vostra domanda, saremo contenti di potervi rispondere. Contatti: Silvio, indirizzo e-mail [email protected] “Poiché l’espressione creativa non ha confini tangibili ed è illimitata nel contenuto, lo spazio mi permette soltanto di consigliare alcuni concetti tipici con degli esempi. Non è possibile, né desiderabile, dire al fotografo che cosa “vedere”. Io posso solo suggerire i mezzi e le maniere per arrivare all’immagine visualizzata che si desidera. La mia intenzione è quella di dare le basi per una facile ma precisa procedura che garantisca il controllo creativo dell’immagine.”
Ansel Adams Carmel, California, Settembre 1982 Corso base di fotografia digitale online: prossimamente su queste pagine... |
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